provo a tenere un diario. qualcosa già l’ho scritta come commento nei giorni scorsi. (in sintesi: mi impegno, riprendendo a partecipare, solo a non farmi prendere dall’ansia di dover tutto leggere e tutto fare; sto qui, anche con questo blog, senza pretendere troppo da me)
Oggi , a scuola , un laboratorio in cui uno storico ospite ci ha parlato, un po’ antiquatamente, della rete e della ricerca storica in rete. Pur senza demonizzazioni, ha messo in guardia dalle infatuazioni di chi pensa che l’uso della rete possa aiutare lo studio. Faceva l’esempio di come, cliccando su “costituzionalismo” (la lezione riguardava, anche, costituzione/costituzionalismo), si accede a una serie di dati di cui molti inutili o chiaramente sbagliati – il docente era molto critico di wikipedia etc. Una cosa che mi ha colpito di questo pur bravo e coscienzioso professore, era il nervosismo con cui rispondeva alle distrazioni degli allievi. Eravamo una cinquantina in un’aula piuttosto piccola e calda. Tutti studenti dell’ultimo anno, portati da noi professori a seguire il seminario (cioè: non avevano scelto né di seguire il seminario, né il relatore etc.). Il relatore si adombrava e faceva sarcasmo ad ogni minima distrazione – proveniente dall’interno o dal corridoio. Ad un certo punto, mi è venuta la voglia irresistibile di scrivere un sms di nascosto. Ed ho provato empatia per la tanto aborrita pratica dei miei studenti. Mi sono detta: ma è poi davvero così importante che stiano attenti? a parte le ben note riflessioni sull’impossibilità di tenere l’attenzione su un periodo poco più che breve; ma poi – distrarsi fa davvero così male? la rete può essere considerata la sentina di tutti i vizi proprio se si demonizza la distrazione. Se non se ne capisce il valore. Il modello a cui io stessa sono abituata è quello della concentrazione su una sola cosa. Ma, mi sono chiesta: se l’attenzione non c’è, non è un caso. L’attenzione può nascere solo da un coinvolgimento attivo in quello che si sta facendo (e anche questo tipo di attenzione ha una durata limitata). E dunque: web o non web, e learning o carta e penna, la cosa fondamentale in ogni pratica d insegnamento/ apprendimento è essere parte attiva, praticare e agire. In fondo, quello che sto cercando da anni, non è tanto l’uso adeguato di strumenti tecnologici; ma la ricerca di modalità di apprendimento in cui chi impara non sia un semplice contenitore vuoto, e chi insegna non sia un trasfusore (malato) di contenuti (malati). Col passare degli anni, ho sempre più voglia di guardare gli altri che imparano, aiutarli lateralmente, piuttosto che essere il centro del rapporto. Spesso gli allievi vogliono, per comodità, attribuirti il centro della scena. Ma questo è deresponsabilizzante. E’ un modo per non fare. Per questo ancora chiedono lezioni frontali etc. Per questo preferiscono, a volte, imparare pedissequamente un manuale piuttosto che chiedersi perché dovrebbero imparare quello che gli si dice di studiare. Forse queste riflessioni sono un po’ troppo disordinate. Ma ora sono stanca e me ne vado a dormire.